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La tristezza

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L’emozione di base, è la tristezza. Questa tristezza non lascia alcun posto per qualcun altro, alcun posto per innamorarsi di qualcos’altro. Questa tristezza brucia tutte le situazioni oggettive. Più nessuna aspettativa è possibile…In quel momento, questa tristezza si trasforma in maniera alchemica in presentimento non oggettivo. Non c’è direzione per questo presentimento. È un presentimento che diventa un modo di vivere, che non lascia alcun posto per il dinamismo di andare da qualche parte, di raggiungere, di esplorare. Questa è la vera tristezza.
Ma finché si è tristi per qualcosa, tristi perché qualcosa non c’è o perché qualcosa ci è accaduto, si nega questa vera tristezza. Allora si resta incollati alla tristezza, che diventa un veleno per il corpo, per la mente, per il pensiero.
É nella convinzione che non c’è niente per me nelle situazioni oggettive che questa tristezza si tramuta in presentimento.
Non c’è niente da fare per questo: è una maturazione. Non posso maturare volontariamente, ma posso rendermi conto della mia non-maturità. Posso rendermi conto che sono costantemente attirato da questo, da quello, che cerco costantemente di creare una relazione, di mantenere una relazione, di smettere una relazione, di aspettare una relazione, di volere questo e quello, di trovarmi così o colà, di pensare che finalmente, quando avrò fatto questo, raggiunto quello, andrà meglio.
È una pretesa, una negazione del presentimento profondo che non c’è niente che mi possa soddisfare, la vita è miserabile.
Quando vedo chiaramente in me questo meccanismo, allora la tristezza non è più triste. Diventa un presentimento, un digiuno del cuore.
La comprensione che non c’è niente per me nel mondo oggettivo è un digiuno del pensiero.
Ma è più importante il digiuno del cuore: la tristezza. Non mi cerco più nell’emozione. La sola emozione che voglio è questa tristezza e questo presentimento. Non c’è alcuna ramificazione oggettiva, nessuna direzione per me.
Quando non lo cerco davanti a me, sono obbligato a lasciarmi prendere e divento questo presentimento. Ma finché voglio seguire questo presentimento, sono altrove, è una proiezione.
Devo diventare io stesso il presentimento che sono. Nessun dinamismo possibile. Non è un presentimento verso qualcosa, è un presentimento di se stessi. Finché c’è in me il minimo dinamismo per trovare, c’è allontanamento. Devo ritornare alla sorgente di ciò che sono prima del dinamismo di andare da qualche parte.
La tristezza è la maturazione che sto ritornando verso me stesso. È un non-viaggio. Finché spero, finché aspetto, finché vado da qualche parte, mi perdo un po’ di più. Comprendere il meccanismo.
Essere aperti alla tristezza è la fedeltà alla realtà dell’istante. Sbarazzata da tutte le pastoie intenzionali questa tristezza fonde nel nostro ascolto. Fedeltà senza oggetto all’essenziale.
Lacrime di gioia.
Eric Baret

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